L’autolesionismo non suicidario viene definito dal DSM-5 come “una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo, condotti per almeno cinque giorni nell’ultimo anno”. La differenza con il suicidio è perché il gesto autolesivo non è letale, anche se i metodi possono sovrapporsi (tagli, graffi, bruciature, colpirsi una o più parti del corpo…). L’autolesionismo non suicidario può:
- Provocare sollievo da una sensazione/stato cognitivo negativo.
- Essere un modo per risolvere le difficoltà interpersonali.
- Essere un’autopunizione per i difetti percepiti.
- Figurare come una richiesta d’aiuto.
- Indurre una sensazione positiva.
Il sollievo e la sensazione positiva vengono sperimentati durante o subito dopo l’atto autolesivo. Se questo si verifica frequentemente, rischia addirittura di assumere le caratteristiche di una dipendenza.
L’autolesionismo può verificarsi in un ampio contesto di disturbi psichiatrici (disturbi affettivi, disturbo borderline di personalità, abuso di sostanze, disturbi d’ansia, disturbi da stress post-traumatico) ma può anche verificarsi senza una particolare comorbidità.
PREVALENZA DELLL’AUTOLESIONISMO NON SUICIDARIO
Studi longitudinali sull’autolesionismo non suicidario hanno dimostrato che i tassi di prevalenza raggiungono il picco intorno alla metà dell’adolescenza (circa 15–16 anni) e diminuiscono verso l’adolescenza tardiva (circa 18 anni) (Brown & Plener, 2017). Tuttavia, sembra permanere l’utilizzo di strategie di regolazione emotiva disfunzionale, come ad esempio l’abuso di sostanze (Brown & Plener, 2017). Inoltre, l’autolesionismo non suicidario in adolescenza è un fattore di rischio significativo per i tentativi di suicidio.
LA DISREGOLAZIONE EMOTIVA IN ADOLESCENZA
Tra le principali teorie che spiegano le ragioni per le quali le persone ricorrono all’autolesionismo, la più condivisa dai ricercatori è quella della regolazione del distress e dell’ansia. Quando le emozioni negative diventano intollerabili, entra in gioco il ferirsi come tecnica di riduzione della tensione. L’idea è che i gesti autolesivi vengono reiterati per cercare di estinguere “stati psicologici” indesiderati (Chapman et al., 2006). Si tratta di tramutare in sofferenza fisica (quindi più reale e più facilmente gestibile) una sofferenza emozionale che non si sa come gestire.
I comportamenti di autolesionismo, così come l’uso di sostanze, tendono a indurre stati dissociativi che spesso portano sollievo immediato dal dolore. Tali comportamenti possono poi creare dipendenza a causa del fatto che riescono a ridurre emozioni intollerabili (Gatta et al., 2019).
I ricercatori hanno individuato anche un’associazione tra autolesionismo e alessitimia (difficoltà nel riconoscere, nominare e descrivere i propri stati emotivi). Gatta e colleghi (2019) hanno dimostrato che questi adolescenti non riescono a riconoscere ed esprimere correttamente le loro emozioni e riscontrano difficoltà nell’instaurare rapporti interpersonali. Polk e Liss (2007) hanno ipotizzato che tali deficit spingano l’adolescente a ricorrere al self-cutting come mezzo espressivo delle proprie sensazioni negative (Gatta et al., 2019). Inoltre, Gatta e collaboratori (2019) affermano che gli adolescenti che mettono in atto condotte autolesive soffrono spesso di patologie di tipo internalizzante (ansia e depressione) o di tipo esternalizzante (disturbi della condotta e oppositivo-provocatorio).
COSA SI CELA DIETRO ALL’AUTOLESIONISMO NON SUICIDARIO?
- Sentimenti di inadeguatezza e inferiorità.
- Autosvalutazione.
- Marcato disagio nelle interazioni interpersonali.
- Estrema ipersensibilità rispetto al Sé e aspettative negative riguardo ai comportamenti interpersonali.
- Ostilità verso il mondo esterno.
- Sospettosità.
- Paura di perdita.
Gli adolescenti che praticano autolesionismo non suicidario sono persone fragili sul piano interattivo, ipersensibili alla frustrazione relazionale e con la percezione dell’ambiente esterno quale luogo pericoloso da cui bisogna difendersi (Gatta et al., 2019).
La componente relazionale svolge un ruolo molto importante e determinante verso l’atto autolesivo. Questo, in particolare il self-cutting, potrebbe andare a sopperire la difficoltà di socializzazione e allo stesso tempo avere come significato secondario, più difficile da riconoscere, quello di richiamare su di sé l’attenzione dell’altro (Gatta et al., 2019).
L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE CON I PROPRI GENITORI
Per i genitori, scoprire che il proprio figlio si ferisce, è uno shock. Possono reagire con incredulità, preoccupazione e senso di colpa per non essersi accorti prima della sofferenza del figlio. Ciò che vorrebbero, e che viene istintivo, fare è dire “Non lo fare, non vedi che ti fai del male?”, ma è estremamente importante che questo non avvenga. Una frase sbagliata può aggravare la situazione e creare maggiore dolore e reazioni impulsive.
È fondamentale, infatti, cercare il dialogo, fargli capire che i genitori non sono arrabbiati e delusi. Ma mostrarsi empatici, dando loro il sostegno e il supporto necessario e indagando con loro sulle emozioni e i pensieri che accompagnano l’adolescente che mette in atto l’autolesionismo (Manca, 2017).
Dopotutto questi ragazzi, attraverso il corpo, stanno comunicando qualcosa. È una comunicazione patologica, ma è sempre un’espressione del loro disagio interno. Il dialogo e l’ascolto sono la chiave per poter dare la giusta importanza ai vissuti dei propri figli e per poter avviare un percorso di terapia.
Bibliografia
Andover M.S. & Morris B.W. (2014). Expanding and Clarifying the Role of Emotion Regulation in Nonsuicidal Self-Injury, In Can J Psychiatry, 59(11): 569–575.
Brown, R.C. & Plener, P. (2017). Non-suicidal Self-Injury in Adolescence, Curr. Psychiatry Rep.
Cappelluccio, R. (2019). L’autolesionismo non suicidario in adolescenza, In istitutobeck.com
Gatta, M. et al. (2019). Emozioni, comportamenti e relazioni: uno studio caso-controllo sul self-cutting in adolescenza, In Riv Psichiatr 2019.
Manca, M. (2017). L’autolesionismo nell’era digitale, In Alpes Italia.
Plener, P., Schumacher, T., Munz, L. & Groschwitz, R. (2015) The longitudinal course of non-suicidale self-injury and deliberate self-harm: a systematic review of the literature, In Borderline Personal Disord. Emot. Dysregul.