La prima cosa che faccio, appena sveglio? Beh, social media, un giro su Instagram. Poi, a pranzo, immancabile la story su Facebook, per rendere partecipi i miei amici delle mie abbuffate tra sushi e pizza. A cena? Un altro paio di scatti, questa volta però per le WhatsApp stories. Perché? Vedi, i miei nonni di certo non hanno Facebook e Instagram, ma WhatsApp…
E tu, invece? Scommetto che ti fai un sacco di selfie, o, in ogni caso, pubblichi post di palestra, città, cibo, gatti… Ammettilo..anche tu, appena sveglia o sveglio, ti fai un bel giro sui social.
SOCIAL MEDIA E CERVELLO
I Social Media stanno cambiando il nostro modo di percepire il contesto a livello sia fisico che psicologico, e di conseguenza anche il nostro beneamato cervello. Secondo la teoria della neuroplasticità, infatti, ogni stimolo, se protratto nel tempo, è in grado di plasmare a livello neuroanatomico e funzionale i tratti cerebrali. Non è lo strumento a favorire la direzione del cambiamento, bensì l’uso o l’abuso dello stesso. Quali potrebbero essere gli effetti di Instagram, Facebook e YouTube sull’essere umano, nel breve e lungo periodo? Andiamo a scoprire il binomio Social Media e cervello
Se da un lato possiamo scherzare sulla “selfite”, e che presto il selfie compulsivo potrebbe rientrare nelle future versioni del DSM, dall’altro abbiamo la ricerca scientifica. Andando alla scoperta di questa affascinante e giovane letteratura su social media e cervello, scoprirai che…esistono papers scientifici sull’impatto dei social sul benessere percepito dalla persona e sulla dipendenza da YouTube, e su indicatori di dipendenza da smartphone. Nell’articolo di oggi, ho deciso di approfondire quest’ultima. Perché?
Principalmente perché svolgo un lavoro (il social media manager) che mi costringe ad avere sempre un telefono in mano. Otto ore al giorno su Instagram è un bel record, vero? Ma allora, sono patologico? La prima domanda che dobbiamo farci è: la dipendenza da smartphone esiste veramente?
SOCIAL MEDIA E CERVELLO: LO SMARTPHONE DEL DIAVOLO
Sono seduto sul prato, la schiena contro il vecchio pozzo di mattoni, Il mio sangue continua a sgorgare dalle ferite senza sosta, colorando il verde manto d’erba ai miei piedi. Sto morendo. Cosa mi ha ucciso? L’amore! Reale, e incondizionato! Respiro affannosamente. La speranza mi ha lasciato da un pezzo, da quando quel proiettile mi ha colpito alla gola. Anche in questo momento penso a te. Un bacio di troppo, e te ne sei andata con la mia vita. Ma non sono arrabbiato, anzi, ti perdono. Felice di averti incontrato. Ti amerò per sempre…addio…mio adorato SMARTPHONE.
A tal proposito, ci sono due scuole di pensiero in forte contrasto tra loro. Il mio compito, oggi, è semplice: ti fornirò informazioni reali, supportate da evidenze scientifiche. Sarai tu, poi, a decidere come impiegarle.
Partiamo dagli strenui sostenitori della dipendenza da smartphone. Nel 2019, Noë e colleghi hanno sviluppato un vero e proprio strumento per monitorare e individuare tale, ipotetico, disturbo. Come funziona? Un modello diagnostico basato sulla quantità di interazioni fisiche con la superfice touch dello smartphone, individuando gli eventi come:
- Scrivere sulla tastiera digitale.
- Scorrere sullo schermo.
- Interagire con le app.
Un approccio User-interface interaction, sicuramente innovativo, a detta degli autori in netto contrasto con i soliti self-report o attività tempo determinate. I dati sono stati raccolti tramite un’app chiamata Tymer, con un campione di ben 64 partecipanti, per otto settimane. I risultati?
La dipendenza da smartphone, secondo lo studio, sarebbe correlata all’utilizzo di app di Lifestyle e ovviamente app social (in particolare Snapchat nei teenagers). Gli autori inoltre ipotizzano che il design di Snapchat, user friendly e su misura per teenager, potrebbe aver influenzato in modo significativo i risultati correlazioni.
DA ADDICTION AD UN USO PROBLEMATICO
Passiamo ora all’altra scuola di pensiero, più moderata. La review di Panova e Carbonell supporta l’ipotesi che in realtà la dipendenza da smartphone non esisterebbe. Secondo gli autori il termine rappresenterebbe una presa di posizione esagerata. Social Media e cervello, va bene, ma stiamo calmi. Una dipendenza è una patologia con effetti psicofisiologici severi. Nonostante possano esistere comportamenti simili in termini di uso eccessivo o con conseguenze negative moderate, non si tratta di una vera e propria dipendenza.
Il consiglio metodologico sarebbe quindi quello di evitare il termine in sé, sostituendolo con un blando “uso problematico”, al di fuori della sfera patologica.
Sei confusa/o? Non temere, lo sono anche io. L’unica certezza è la seguente:
“the practice and profession of psychology have been greatly influenced by digital culture and social media” (Kolmes, 2012)
Questa citazione è tratta dalla pubblicazione “Social media in the future of professional psychology”. Cosa significa? Che lo psicologo non può ignorare certe dinamiche. L’impatto dei social riguarda sia il modo di porsi per acquisire nuova clientela sul web, sia il mondo clinico ed eventuali nuove patologie non ancora presenti nei manuali diagnostici. I social media sono il futuro. Non ignorarli, non demonizzarli, cerca di comprenderli.
Bibliografia
Kolmes, K. (2012). Social media in the future of professional psychology. Professional Psychology: Research and Practice, 43(6), 606.
Noë, B., Turner, L. D., Linden, D. E., Allen, S. M., Winkens, B., & Whitaker, R. M. (2019). Identifying Indicators of Smartphone Addiction Through User-App Interaction. Computers in Human Behavior, 99, 56-65.
Panova, T., & Carbonell, X. (2018). Is smartphone addiction really an addiction?. Journal of behavioral addictions, 7(2), 252-259.